L’origine della parola “derby”, che oramai fa parte del nostro vocabolario, è di marca inglese. Bisogna andare indietro nel tempo di 250 anni e arrivare al 1779. Edward Smith Stanley, XII conte di Derby, si sposò e decise di celebrare l’evento con una festa campestre presso la residenza di The Oaks. Durante la festa, essendo entrambi i coniugi cavalieri provetti, fu organizzata una corsa di cavalli, battezzandola con il nome della tenuta. In seguito il Conte, con altri membri del suo Club, decise di istituire una corsa analoga; la corsa si chiamò Derby, proprio in onore del Conte. La definizione precisa è stata tratta dal sito telematico sapere.it.
Il significato della parola “derby”, non si sa come e perché, successivamente si è allargato al calcio e contraddistingue eventi che destano particolare interesse, appunto incontri di calcio fra squadre della stessa città o di città viciniori.
Tornando alle cose del nostro territorio, nell’Agro nocerino ritorna la partita che è stata “derby” per antonomasia; ma oramai “derby”, qui da noi, è parola svuotata di significato.
Paganese-Nocerina oggi è ancora “derby” solo per i mezzi di informazione e per chi non conosce la vera storia di questa terra: è il “derby” dei senza memoria, di coloro che si arrogano solo il diritto di primogenitura di incomprensibili concentrati di astio, di inimicizia, di livori.
Un incontro di calcio, naturale festa dello sport, condensato di emozioni e di passioni autenticamente popolari, verrà giocato lontano dalla sua sede naturale; addirittura in Toscana e a porte ermeticamente chiuse. Restrizioni all’andata, nel mese di ottobre scorso; restrizioni anche al ritorno. All’andata si giocò a Chieti in Abruzzo; stavolta si giocherà a Pisa, nel silenzio assoluto di uno stadio che ha conosciuto anche i fasti della massima serie. Una punizione severa per due città divise solo da una striscia di asfalto, lì nell’impalpabile zona di confine di Santa Chiara dove alcune case, nello stesso stabile, hanno connotazioni catastali grottesche: la stanza da letto a Nocera, la cucina a Pagani. Due città legate da vincoli sanguinei e commerciali, da antichi retaggi culturali e religiosi; divise solo da una rivalità calcistica senza uguali. Tutto sotto l’insegna di un campanile: da una parte i colori rossoneri, dall’altra i colori azzurro-stellati. Fin qui tutto normale, tutto plausibile, tutto comprensibile. L’anormalità sta nel fatto che da quest’anno, dopo vent’anni di assenza, le due gare – quella di andata e quella di ritorno – devono giocarsi in campo neutro e a porte chiuse.
Perché si è giunti a tanto? Perché in Italia si giocano tutti i “derby”, cittadini e stracittadini, e non si giocano nelle sedi naturali le gare tra Nocerina e Paganese? Se lo sono chiesti e se lo chiedono ancora in tanti. Lodevoli sono stati i tentativi della Lega Pro di addivenire ad una soluzione logistica per ridare senso e cornice di pubblico ad un incontro di calcio. Ma in sede organizzativa, alla presenza delle maggiori autorità provinciali, nella valutazione complessiva della delicata situazione, è prevalsa la tesi del difficile mantenimento dell’ordine pubblico e, di conseguenza, la gara sarà disputata lontano dalla sua sede naturale. Hanno pesato, in maniera determinante sulle decisioni adottate, le avvilenti scene degli incidenti occorsi nella zona di Santa Chiara nella gara disputata ad agosto per la Coppa Italia.
Quello di domenica prossima, in terra toscana, fra Paganese e Nocerina, sarà “derby” solo per modo dire; quello vero non c’è più da tempo.
Belli i derby di una volta. Altro calcio, altre rivalità, altre storie; ma tutto rigorosamente contenuto nei canoni di una sana rivalità, con inevitabili sfottò, con schermaglie dialettiche in nome di presunte superiorità sportive. Reminiscenze antiche e colorite: da una parte “pezzari”, dall’altra presunti discendenti di militari. Non altro.
Era questo il derby. “Derby” lineari, anche spigolosi, ma mai travalicanti i limiti del vivere civile, della buona creanza e del saper stare al gioco. “Derby” in bianco e nero già nel dopoguerra, con palloni che pesavano un accidente, con spettatori aggrappati ad una rete di protezione che spesso ondeggiava paurosamente quando le decisione dell’arbitro non erano pienamente condivise. Derby infuocati, passioni esplosive, agonismo al limite della cattiveria; ma sempre con il pubblico presente; proprio sempre, sia al “Piazza d’Armi” di Nocera, sia al “Del Forno” di Pagani. Più tardi, sempre cornici di pubblico esaltanti sia al “San Francesco”, sia al “Comunale” poi “Marcello Torre”. Sugli spalti, anche gomito a gomito, gli avversari, i rivali calcistici della particolare domenica. Non sempre tutto filava liscio, ma erano schermaglie goliardiche, mai niente di particolarmente serio o da consegnare alla cronaca nera. Poi, dal lunedì in avanti, ognuno per la sua strada; quella di sempre, quella di tutti i giorni: solo concittadini, consanguinei, colleghi, amici, abitanti della stessa terra, dello stesso territorio.
Lecito chiedersi adesso, quando il Duemila è passato da un bel pezzo: perché non siamo più gli stessi di prima? perché ci siamo scordati che il “derby” è solo ed esclusivamente una partita di calcio? perché abbiamo accantonato la fine arte della satira, dell’ironia, del sarcasmo, degli sfottò che avevano contraddistinto negli anni passati tante stracittadine, abbracciando invece solo strade senza ritorno?
Chiediamocelo, interroghiamo le nostre coscienze. Tutti, ma in special modo chi non vuole capire che una partita di calcio rappresenta solo un evento sportivo; punto e basta. Chi deve intendere, intenda.
In questi interrogativi – se saremo onesti con noi stessi – forse ritroveremo lo spirito che rende grande ed inimitabile una partita stracittadina; quello spirito fiero e battagliero che ci aveva fatto gioire e soffrire, imprecare o esultare, ma sempre e solo in nome di una casacca, di un credo, di una bandiera, di una leggenda.
Chi intende il “derby” come un qualcosa di diverso è fuori strada e oggi – purtroppo – ne fa pagare le conseguenze a tutto un territorio.
Nino Ruggiero
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