Zero a zero contro il Manfredonia. Il risultato non fa una piega. La Paganese non ha ingranato la marcia migliore e non è riuscita a giocare come nelle sue giornate più felici. Merito degli avversari? giornata storta? non si sa. Sappiamo solo che non è arrivata l’auspicata vittoria e che la squadra si è espressa meno bene delle altre volte. Nessun colpevole, nessun accusato: è il calcio. Ogni partita fa storia a sé e ogni partita va rivista (anche alla moviola, se del caso) con la lente di ingrandimento da parte dell’allenatore per cercare di capire cosa è andato e cosa invece è andato meno bene di quanto sperato. Si migliora quando si riesce a correggere errori e quando si recita il “mea culpa” per qualche errore di valutazione: tutto qui. Agovino ha già dimostrato di non essere un presuntuoso e sa che nel calcio non c’è mai una ricetta precisa per arrivare alla vittoria.
Detto questo, doverosamente, forse qui è il caso di parlare chiaro e tondo della famosa “asticella” che è un termine che viene fuori ogni qualvolta si pensa di poter aspirare a qualcosa in più di un semplice campionato tranquillo. L’asticella delle speranze e delle facili illusioni.
Mai come quest’anno si è partiti con un programma semplice e lineare. Obiettivo primario: salvezza. C’è qualcuno, anche tra i più critici, che possa avanzare dubbi sul discorso iniziale fatto dalla società e dai suoi tecnici? Credo di no, se si è onesti soprattutto con se stessi. Il discorso invece diventa diverso quando ci si illude di aver trovato per strada una squadra competitiva. No, amici cari, non è così, siamo fuori strada. Tutti vorremmo vedere all’opera una squadra che esprima un gioco moderno, brioso e avvolgente che porti ai tre punti in palio. Questo tipo di squadra l’abbiamo vista contro il Barletta e contro il Matera, tra le mura amiche, e ci siamo fatti prendere dall’entusiasmo, dalle illusioni e dai sogni. In campo però ci sono anche gli avversari e sono – guarda caso – compagini che non hanno badato a spese quando si è trattato di mettere mano al portafoglio. Lo vogliamo ricordare come si è dovuta muovere la Paganese quando si è trattato di allestire l’attuale compagine? Vogliamo ricordare le trattative con calciatori di livello interrotte per mancanza di un budget adeguato? Vogliamo ricordare la sinergia tra il direttore sportivo Accardi e l’allenatore Agovino quando si è trattato di “fare la spesa” con quello che passava il convento? Ricordiamolo ogni qual volta ci verrebbe voglia di imprecare per una supremazia territoriale degli avversari e per un gol mancato che dagli spalti sembrava facile facile. Certo, le prestazioni precedenti hanno entusiasmato e fatto credere di aver trovato per strada una grande squadra. Una sola volta nel passato è capitato di partire in un modo e di trovarsi poi coinvolti nelle zone alte della classifica senza aver speso un occhio della fronte. Correva l’anno di grazia 1979 e la Paganese era affidata alle cure di Enzo De Risi, uno dei superstiti della società che negli anni precedenti aveva sfiorato la promozione in serie B sotto la guida di Gennaro Rambone. Non c’erano soldi in società e De Risi si affidò a Giacomino De Caprio per l’allestimento della squadra. Arrivò Enzo Montefusco e con lui Oddo e Tripepi, due piccoletti terribili, sconosciuti ai più e che riuscirono a infiammare le platee. Quell’anno la Paganese fu la vera sorpresa del campionato e ritornò a sorpresa in C1. Ma qui siamo proprio nel campo dei miracoli sportivi, di quelli che capitano di rado.
Torno alla partita con il Manfredonia. Un pareggio non deve scoraggiare. Pareggiano in casa anche le squadre che vanno per la maggiore, figurariamoci se deve scoraggiarsi la Paganese che deve solo mettere punti nel carniere per salvarsi il prima possibile. Sul rendimento della squadra devo dire che ha giocato al di sotto delle aspettative e al di sotto delle ultime prestazioni: la squadra si è fatta imbrigliare soprattutto nella ragnatela di centrocampo dove il povero Langella ha fatto quello che ha potuto. Sono dell’avviso che qualche elemento, tipo Coquin, debba mettere il suo talento al servizio della squadra senza voler strafare e senza intestardirsi in azioni improduttive ai fini del gioco concreto. Sono anche del parere che Agovino debba trovare il modo per far coesistere proprio lo stesso Coquin con Faiello, altro elemento di qualità di cui la squadra ha assolutamente bisogno per esprimersi al massimo. Per intanto va osservato che ci sono elementi che stanno superando le più rosee aspettative. Si tratta di Orefice, vera punta di diamante della squadra, e di Galeotafiore che è diventato un vero pilastro della difesa.
Conclusione. La squadra ha una sua struttura portante e deve solo migliorare nel rendimento. Per adesso pensiamo solo alla salvezza e ad apprezzare il buon lavoro fatto dall’allenatore Agovino e dal direttore sportivo Accardi che, con pochi mezzi a disposizione, hanno messo su una squadra di tutto rispetto.
E lasciamo stare la famosa “asticella”. Se si alza da sola, bene. Altrimenti sta bene dove sta.
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