La voglia di scrivere ancora di calcio e di Paganese è poca. Anzi, a dire il vero, non ce n’è per niente. Ma gli impegni presi con i pochi amici e lettori che hanno avuto la bontà di seguire le mie note settimanali da oltre dieci anni vanno rispettati.
Pensate, “Paganese graffiti” nacque nel 2010 con la rubrica “Così è, anche se non vi pare” con la presunzione di essere una voce di sostegno anche critica al servizio della Paganese. Non so se ci sono riuscito; di sicuro, posso garantirlo, ogni parola, ogni pensiero espresso ha avuto sempre e solo la connotazione di un grande amore verso i colori azzurro-stellati.
Dunque, è finito anche l’ultimo capitolo di un’annata strana che è partita male, che ha avuto momenti di speranze e di gloria ma si è poi conclusa in modo infausto a Tivoli nell’ultima gara di campionato, proprio quando un sogno volatile, cullato all’indomani di una storica rimonta, sembrava sul punto di materializzarsi.
La partita con la Casertana, qualificata come gara playoff, peraltro incomprensibilmente e sciaguratamente disputata senza pubblico, aveva solo il senso di un pannicello caldo; i playoff in serie D non garantiscono un bel niente. Lo dico con cognizione di causa, dopo aver letto e riletto il regolamento di serie D sul tema. Certo, quando si gioca, anche se la posta in palio non assicura alcunché, la vittoria è sempre la benvenuta. La Paganese l’ha cercata, pur potendosi accontentare del pareggio, ma ha pagato dazio perché nell’occasione non ha potuto contare sul solito apporto decisivo dei suoi uomini migliori, di quelli che in tante gare hanno estratto giocate prestigiose dal loro magico cilindro.
Diciamolo: buona squadra nel complesso la Paganese, ma troppo D’Agostino-dipendente. È bastato che il suo capitano contro la Casertana incocciasse in una giornata così così, normale, senza acuti, in una prestazione da semplice mortale, perché la squadra ne risentisse soprattutto in zona gol. È il destino dei fuoriclasse, e D’Agostino in questa serie lo è. Per il resto, la Paganese ha giocato la sua onesta partita senza grossi acuti potendo contare su una inquadratura abbastanza consolidata. Peccato che per la regola imposta sull’utilizzo degli under non sia mai stato possibile vedere all’opera un centrocampo composto da Verna, Iuliano e Sicurella che probabilmente avrebbe assicurato alla squadra più consistenza nella zona vitale del campo. Ma allo stesso modo va detto che Giampà, salvo qualche tardiva mossa tattica, ha cercato di trarre il massimo dagli elementi che ha avuto a disposizione.
Il discorso postumo e complessivo sulla bontà della squadra va rimandato. Per farlo bisognerà calarsi nel momento storico, di quando a fine luglio ancora non si sapeva come muoversi per l’allestimento della squadra, operare in che termini e con quali fondi, per le note vicende societarie, sbloccate successivamente e solo parzialmente per l’intervento risolutivo del primo cittadino di Pagani.
Per il momento va detto che la squadra affidata a Giampà, nel complesso, ha fatto il suo dovere e si è ben comportata; tutti i calciatori hanno speso le loro migliori energie fino all’ultima stilla di sudore, ma nel calcio per vincere non bastano energie e agonismo. Ci sono tanti fattori che fanno grande una squadra, non ultimo quello mentale. Forse proprio quello mentale, che è mancato nell’ultima decisiva partita di campionato.
Così vanno le cose del calcio. Solo il tempo riuscirà a guarire le ferite più profonde. Ma bisognerà anche guardare alle certezze di futuro che al momento non ci sono.
L’ho già scritto e voglio ripeterlo: nell’annata 1965-66 la Paganese dopo aver stravinto il campionato senza perdere una sola partita, fu sconfitta allo stadio Collana di Napoli nella finale con la Sessana e rimase in Prima categoria. I dirigenti della società di allora si guardarono in faccia e decisero di ritentare la scalata alla quarta serie di allora. Lo fecero, irrobustirono la squadra e l’anno successivo vinsero a piene mani. Forse è preistoria, ma quel periodo lo ricordo come fosse oggi. C’era sconforto, delusione in ogni cuore, un po’ come oggi. Ma c’era anche la volontà di rifarsi, di ritentare subito la scalata alla serie D. Ecco, il problema: questa volontà oggi c’è?
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