Così è (anche se non vi pare)
C’è in giro molto pessimismo. Comprendo tutto: la rabbia per aver visto scalfire in una piovosa domenica di novembre le illusioni e le speranze che si erano consolidate in certezze, alla luce delle prime entusiasmanti domeniche di gloria; comprendo lo stato d’animo di tutti coloro che s’erano convinti di poter fare una specie di passeggiata in questo campionato; comprendo infine la delusione per i risultati che si fanno attendere da un po’ di tempo a questa parte. Tutto vero, tutto giusto, tutto plausibile.
Sì, è così: la squadra sta deludendo le aspettative generali da qualche settimana a questa parte. Sta giocando male e raccoglie poco, molto meno di quanto fosse lecito attendersi. Può trattarsi di un momento no, oppure può trattarsi di una involuzione del suo gioco; altre giustificazioni non ne vedo.
Purtroppo, più di un calciatore sta rendendo molto meno di quanto potrebbe; per giunta, da qualche domenica, nella seconda parte della gara, anche il ritmo di gioco e l’intensità agonistica calano sensibilmente nei confronti di avversari che invece appaiono freschi e pimpanti.
Calo atletico o – per la complessità del gioco del calcio, che non è solo forza e classe – calo di ordine psicologico? Questo lo deve stabilire l’allenatore che meglio di tutti ha tra le mani gli strumenti di valutazione giusti per emettere una diagnosi quanto più completa possibile, e porvi di conseguenza rimedio.
Così come si sono messe le cose, quella dote che nelle prime giornate era apparsa una prerogativa della squadra, vale a dire l’elevato tasso tecnico opposto all’improvvisazione degli avversari, rischia di diventare solo una favoletta per i gonzi.
Quelli che erano considerati lampi di genio e di autentica classe, con il trascorrere delle giornate, sono quasi del tutto ininfluenti in mancanza di un’organizzazione di gioco accettabile.
Bastavano pochi spunti all’inizio del campionato per mettere a tacere gli avversari. Una volta una prodezza di Galizia, un’altra volta un colpo di testa di Fava, un’altra volta ancora un colpo di genio di Orlando: ed erano tutte vittorie chiare e indiscusse.
Pochi spunti, è vero, ma tre punti fissi assicurati grazie a una difesa che sembrava impenetrabile, pur in presenza di una manovra incostante e farraginosa a centrocampo, meritevole però di comprensione per la scarsa coesione dovuta – si pensava – all’inevitabile ricerca di delicati meccanismi di interscambio; i pochi ma preziosi spunti di classe, come si suol dire in gergo, “servivano e avanzavano” per arrivare comunque alla vittoria.
Ora il tempo rischia di smentire ogni ottimistica previsione settembrina. Le prodezze dei singoli, specie dopo la perdurante assenza di Fava al centro dell’attacco, si fanno sempre più rare; la difesa non appare più così impenetrabile e la manovra di centrocampo invece di migliorare – com’era auspicabile – pare addirittura peggiorare. Delle due l’una: o sono gli avversari che sono più forti di quanto si potesse immaginare o è la Paganese che non riesce più a esprimersi al livello di prima delle classe.
Queste considerazioni vengono fuori, d’acchito, dopo aver assistito a un’altra altalenante esibizione della Paganese nei confronti di una squadra, il Chieti, che non aveva mai vinto in trasferta.
Primo tempo buono, occasioni da rete non concretizzate per un niente, gol del solito Orlando; poi dormita generale su un cross dalla destra e “zac” il Chieti pareggia. Secondo tempo da autentica frana. Giglio che si fa espellere come un pollo alle prime armi e lascia la squadra in dieci; manovra che si intristisce senza mai arrivare al dunque; Grassadonia che crede di dover dare altra spinta all’attacco e toglie proprio Siciliano forse il più attivo in avanti; e, in conclusione, Chieti che addirittura passa in vantaggio su un grazioso regalo della ditta Rinaldi & Co.
Prima di andare alle conclusioni, però guardo indietro, com’è giusto che sia, perché credo che per fare un discorso serio che non abbracci solo le emozioni del momento e lo sconforto per tutto quello che poteva essere e non è stato, è necessario allargare l’orizzonte. Nella vita si guarda avanti, ma si guarda anche indietro per avere una visione compiuta di quello che accade giorno per giorno.
Fermo restando che tutti hanno il diritto di esprimere le proprie idee, specie quando rientrano nei canoni della buona educazione, è bene anche ricordare – perché il tutto sia riconducibile a un discorso complessivo e non isolato dalla realtà delle cose – dove eravamo rimasti lo scorso anno.
Eravamo rimasti con una squadra retrocessa e con una società decisa a passare la mano. Eravamo rimasti al palo e probabilmente lì saremmo restati se non ci fosse stato un guizzo d’orgoglio e di coraggio da parte di coloro i quali oggi guidano le sorti della squadra.
Parlo, per quanto ovvio, della famiglia Trapani e di D’Eboli.
Oggi, prima di emettere giudizi e sentenze, tutti noi dovremmo fare un accurato esame di coscienza. Se riusciremo ad essere onesti con noi stessi nel giudizio, allora potremo anche parlare di calcio giocato.
Potremo allora legittimamente pretendere il massimo da chi rappresenta in campo i colori sociali; potremo pensare di dire la nostra in un campionato che non presenta mostri di bravura; potremo infine pensare al rafforzamento della squadra entro i limiti economici che la società può permettersi. Il tutto senza affanni, senza pressioni controproducenti.
Guardate, lo dico per esperienza: gli stravolgimenti e la voglia di cambiare tutto e tutti, non portano da nessuna parte. Nel lontano campionato 1975-76 la Paganese per la prima volta approdò in serie C. Allenatore era il giovanissimo Lamberto Leonardi. La promozione era per una sola squadra, ma le pretendenti erano molte: c’era la Juve Stabia, l’Avezzano, il Nola, il Savoia.
Quante ne dovette sentire per tutto il campionato il bravo Leonardi e quante volte rischiò il clamoroso l’esonero! Ricordo ancora un’inopinata sconfitta a Castellammare, il successivo pareggio interno con l’Ischia e l’ulteriore sconfitta per zero a uno contro la Palmese; tutti risultati negativi maturati di seguito – un solo punto raccolto in tre partite – che fecero traballare classifica e panchina.
Ma ci fu unità di intenti, dopo innumerevoli e contrastanti vertici societari, e Leonardi, scelto all’inizio a scapito di Gennaro Rambone, riuscì a portare a termine vittoriosamente il campionato.
Cosa voglio dire? Semplice. Premesso che non sono e non voglio essere il difensore di ufficio di qualcuno, dico che se è stata fatta una scelta, sicuramente ponderata, quella dell’allenatore, non bisogna avvilirsi alle prime avversità.
I campionati sono lunghi, e quest’anno l’attuale lo è anche di più; ci possono essere alti e bassi nel rendimento di una squadra. Importante è non demoralizzarsi e non pensare che un allenatore, quale che sia, possa avere tra le mani la bacchetta magica. Tutti possono commettere errori, perché nessuno è perfetto. Importante però è farne ammenda. Se si ha stima di una persona, al punto di affidargli una squadra che vuole lottare per traguardi prestigiosi, non si può – alle prime avversità – fare marcia indietro. Quanto appena detto vale per tutti, non solo per la tifoseria – a buon intenditore poche parole…
Certo bisognerà non distaccarsi mai da quello che è l’obiettivo principale della società. Ma sono convinto che ove mai – nel corso del campionato – ci fossero insanabili divergenze di vedute, sarebbe proprio il responsabile tecnico, che reputo persona seria, a dire “arrivederci e grazie”.
Ho scritto molto, anche troppo, ma spero di non avervi annoiato e mi auguro di aver dato un contributo di esperienze vissute soprattutto a tutti coloro che – tifosi e non – troppo spesso si fanno prendere dalle emotività del momento.
Nino Ruggiero
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