Ritroviamoci il venerdì
Stavolta non vi parlerò di risultati, di classifica, di tattiche. I miei tre o quattro fedeli telespettatori capiranno e mi perdoneranno se vado fuori dal tema abituale. Ho dato un’occhiata al calendario e non potevo fare a meno di immergermi nei ricordi di un tempo che fu.
Trent’anni fa, in un grigio mattino del dopo terremoto, veniva stroncata da una mano assassina la cara esistenza di Marcello Torre. Quelle ore, che seguirono la triste notizia che si sparse in un battibaleno in una città ancora alle prese con il post- terremoto, sono ancora impresse indelebilmente nella mia mente.
Marcello Torre, penalista di grido, uomo integerrimo, affabile con tutti, era il simbolo di una Pagani che voleva crescere e riscattarsi dopo anni di intensi grigiori. Era sindaco, era presidente della Paganese. Era tutto: rappresentava la speranza che covava nell’anima di quella parte di città laboriosa e onesta che aveva avuto negli anni poca possibilità di dire la sua. Era il simbolo di quella che si definisce in politica “maggioranza silenziosa”, di quella gente che, in silenzio per atavica dignità, voleva solo ed esclusivamente vivere in una Pagani migliore.
Io lo conoscevo bene. Avevo qualche anno in meno e fu proprio la comune passione giornalistica che ci fece incontrare. Ricordo che un giorno, io alle prime armi con il difficile mestiere della penna, rimasi estasiato quando mi fece toccare con mano la sua preziosa raccolta de “LO SPORTIVO”, un periodico salernitano cui aveva collaborato negli anni ’50-60. Aveva scritto per passione e per grande capacità cognitiva. Il suo amore, non tanto segreto, era la Paganese. L’aveva seguita da sempre e ne aveva raccontato le gesta proprio su quel foglio. Aveva scritto di Manfro, Bucciarelli, Varricchio, elementi di spicco degli anni ’50. Ma aveva anche dato un occhio particolare al vivaio locale magistralmente guidato da don Enrico Attianese; aveva intuito già sessant’anni fa che il futuro delle squadre di calcio poteva essere rappresentato solo da una sana politica giovanile.
Poi aveva abbracciato la politica, e non poteva essere diversamente in considerazione del fatto che aveva una predisposizione dialettica non comune. Il suo linguaggio affascinava. Quando parlava alla gente nelle campagne elettorali sembrava un incantatore di serpenti tanto era convincente, spontaneo, genuino. Per la gente era il simbolo di un riscatto generazionale. Arrivò alla Provincia, ne divenne vice-presidente e più tardi, nonostante qualche inevitabile incomprensione e gelosia con la classe politica del tempo, diventò sindaco di Pagani.
Io voglio ricordarlo, perché siamo in tema di trasmissione sportiva, come presidente e dirigente della Paganese calcio. Passò da giornalista sportivo a dirigente senza traumi ai tempi della fusione con la Polisportiva nel 1965 e diventò presidente della Paganese quando un gruppo di amici lo volle a capo del sodalizio per tentare di arrivare in serie B.
Marcello Torre per tutti era sinonimo di serietà e di capacità. La dirigenza si allargò e si allargarono anche i cordoni della borsa. Arrivarono a Pagani nomi prestigiosi: l’allenatore Gennaro Rambone, giocatori già famosi come Tombolato, Tacchi, Benatti. In quel periodo la squadra sfiorò la grande impresa: arrivò seconda alle spalle del grande Bari e non fu promossa in serie B solo perché in quel periodo c’era in ballo una sola promozione.
Ma gli eventi incalzavano. La politica aveva bisogno di un personaggio carismatico; la città lo volle sindaco con un plebiscito di voti senza uguali. Marcello Torre non abbandonò mai la sua Paganese. Anche quella triste mattina dell’11 dicembre, quando un’infame mano assassina troncò la sua ancora giovane vita, aveva in calendario un impegno per la sua squadra del cuore.
Trent’anni sono trascorsi da quel giorno, sembra solo ieri. Pagani lo pianse e lo piange ancora. Era il suo figlio migliore ed era il simbolo di una città in progresso. Il tempo, questo sconosciuto. Anni, mesi, giorni, ore; li contiamo quasi fossero entità materiali. Sono solo ombre evanescenti, illusioni di una fatua vita terrena. Ci guardiamo intorno, uno sguardo al calendario: gli anni che scorrono veloci, uno dietro l’altro, mentre è estate arriva già Natale. E’ la vita che si rincorre in un vortice che non sembra distinguere inizio e fine.
“Siamo solo di passaggio” – si dice senza sapere scientemente dove siamo diretti. C’è solo la fede che ci accompagna e ci fa guardare avanti.
Nino Ruggiero
Impareggiabile questo ricordo!
Grazie Nino. E’ un ricordo bellissimo di un grande Uomo che voleva una Pagani libera e civile. Dopo oltre trent’anni dalla sua tragica scomparsa non siamo nè liberi nè civili e la monnezza ci sommerge in tutti i sensi, materiali e morali…