Le vittorie nel calcio non arrivano mai per caso; esse sono solo il frutto di un lavoro fatto per bene e perciò meritate.
Prendete la partita di ieri disputata al “Marcello Torre” contro i laziali del Cynthialbalonga. Di sicuro la buona partenza degli azzurro stellati, con gol realizzato quando la lancetta del cronometro non era anche sui tre minuti di gioco, ha facilitato il compito di Esposito e compagni, ma bisogna subito dire che è la squadra nel suo complesso, con una gara esemplare, energica e forse inaspettata, che ha entusiasmato. Avrete già letto il consueto pagellone stilato a fine gara; se non lo avete fatto – ai fini di una disamina dei protagonisti – vi invito a consultarlo.
Direte: ma quella di ieri non è la stessa squadra che ha deluso più volte negli ultimi tempi, non ultima la sconfitta in casa con il Savoia; che ha fallito importanti impegni proprio quando doveva invece solo confermare quello che di buono aveva fatto intravvedere in altre occasioni?
Già, sarebbe bello se nel calcio potessimo vivere di sogni, possibilmente belli e degni di essere ricordati come una bella favola.
La realtà della vita però è diversa. Abbiamo avuto modo di analizzare minuziosamente, con la lente di ingrandimento, tutte le aspettative di una tifoseria esigente e competente al tempo stesso e che si è trovata da un momento all’altro a correre dietro a un sogno. Intendiamoci, nel calcio non ci sono mai certezze e niente è mai definitivo fino al termine del campionato. Ma una cosa la devo dire: questa Paganese sta acquisendo una mentalità diversa, soprattutto da quando ha capito che non ha molto da perdere e può vivere alla giornata senza l’assillo del risultato da agguantare a tutti i costi. Forse così si spiega la metamorfosi delle ultime giornate, che stanno presentando una squadra più cinica, più quadrata e meglio disposta in campo, in altri termini più completa ed equilibrata. Ci sono sei partite da disputare fino al termine del campionato. La Paganese le disputerà all’insegna dell’equilibrio tattico finalmente raggiunto e di sicuro non deluderà quanto a impegno e dedizione ai colori sociali. Una cosa è certa: la squadra – salvo il rammarico di aver mancato qualche appuntamento importante – ha mantenuto fede ai programmi stilati alla vigilia del campionato quando si è pensato soprattutto a trovare una soluzione per sanare il copioso debito contratto negli anni con il fisco. È già tanto, in verità, anche se nella vita non ci si ferma mai.
Per il futuro, per altri traguardi più ambiziosi bisognerà cambiare registro puntando su elementi di categoria che abbiano fame di arrivare in alto.
Tanti anni fa per chi voleva raggiungere determinati traguardi calcistici, c’era già pronta una ricetta ritenuta infallibile.
In gergo, c’era chi la chiamava “ossatura” e chi “spina dorsale” ma il senso era sempre lo stesso se riferito al criterio da adottare per la formazione di una squadra di calcio vincente. Dei tanti allenatori che ho avuto la ventura di conoscere e frequentare nella mia lunga esperienza di cronista sportiva, ricordo la figura austera di Giacomino De Caprio che costruiva le sue squadre con determinati ruoli fissi che chiamava “ossatura”, con chiaro riferimento a ruoli ritenuto determinanti. Ancora più esigente era Nicolino D’Alessio, meglio conosciuto negli ambienti sportivi napoletani come lo “sceriffo”; voleva avere una squadra a sua immagine e somiglianza. Voleva la sua “spina dorsale” dalla quale non prescindere e pretendeva di avere giocatori di assoluta affidabilità.
Qualcuno era ancora più lapidario: è il caso di Nereo Rocco, mostro sacro del calcio italiano degli anni Sessanta. “Datemi quattro calciatori, un portiere affidabile, uno stopper con le palle, un autorevole centrocampista pensante e un attaccante che vede la porta. Poi il resto della squadra potete farla pure voi”. Una richiesta dissacrante oggi con tanti procuratori in giro, forieri di presunti talenti pronti a giurare e a spergiurare che la loro merce è la migliore che esiste sul mercato. Un po’ come chiedere all’acquaiolo di turno se l’acqua da vendere è fresca o no.
Spina dorsale o ossatura, fate voi. Ma l’impressione è che il calcio vincente, anche oggi, non possa mai fare a meno di gente di valore. È la dura legge della vita.
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