Nel calcio non sempre vince chi gioca meglio; vince chi interpreta meglio la partita e chi riesce ad approfittare delle inevitabili manchevolezze dell’avversario di turno (che ci sono sempre, anche quando tutto sembra essere perfetto).
Ad Agropoli è andata in scena una Paganese diversa dal solito, per quello che riguarda gli uomini schierati. Tre impegni in una settimana hanno consigliato al tecnico Agovino di effettuare un turnover sostanzioso. Fuori De Feo, Semonella, Galeotafiore, Faiello, Orefice, Mancino; dentro Setola, De Franco, De Gennaro, Iannone e Sorgente. Niente da dire sulle scelte che spettano all’allenatore; nessuno più di lui può avere il termometro della situazione sotto controllo.
Dunque, Paganese diversa nello schieramento e, forse per questo, molto prudente e poco propositiva nei primi minuti di gioco. C’è da prendere confidenza con l’avversaria che appare vogliosa di arrivare al gol e ci vuole tempo per una squadra modificata nel suo insieme. Di certo non si vede nella prima fase la solita squadra propositiva e concreta. Solo dopo aver incassato, dopo una buona mezzora il primo gol, grazie a una disattenzione difensiva, la Paganese comincia la sua partita.
Si può rimediare; c’è tempo. La squadra conquista posizioni, si sistema meglio a centrocampo, alza il baricentro del gioco e sembra essere a un passo dal rimettere la partita sul piano della parità. L’occasione buona arriva sui piedi di Sorgente, innescato da un lungo lancio a scavalcare di De Franco, ma l’attaccante stecca a due passi dalla porta e non si avvede di avere Iannone completamente libero e smarcato solo davanti alla porta.
La giornata non è proprio buona per la Paganese e lo si vede nella ripresa, quando dopo venti secondi Orefice, con tiro a giro, a portiere battuto, incoccia in pieno la traversa.
Da questo momento in poi, in campo si vedono solo gli azzurro-stellati che prendono il comando delle operazioni ma incidono poco in fase realizzativa. La Gelbison chiude tutti gli spazi, raddoppia sul portatore di palla e alza una vera e propria linea Maginot davanti al suo portiere.
Non basta marcare una superiorità territoriale per vincere una partita; bisogna avere mentalità vincente e scaltrezza (o “cazzimma”, tanto per usare un neologismo applicato al calcio), dopo aver dimostrato di giocare un calcio effervescente e godibile sul piano dello spettacolo. Spettacolo e concretezza non sempre possono coesistere perché il principio del calcio si basa su dettami ineludibili. Sul piano dell’intensità agonistica, che è una delle prerogative di cui una squadra non può fare a meno, ci siamo. La squadra ha tenuto bene il campo e non ha mai mollato di un centimetro creando superiorità in ogni zona del campo. Lo è stata meno sotto il profilo delle equidistanze e dell’equilibrio tattico (non proprio cristallino), quando si è trattato di recuperare il risultato. In tanti anni vissuti da cronista sportivo, autentici maestri di calcio mi hanno insegnato che bisogna essere bravi a creare spazi in avanti quando si ha il possesso del pallone e bisogna invece saper restringere gli spazi agli avversari che attaccano. Una volta, quelli che masticavano calcio vissuto, la chiamavano “teoria degli spazi” che per la verità – essendo lapalissiana – non ho mai capito se viene insegnata a Coverciano.
La squadra, tornando alla partita di Agropoli, a un certo punto della gara si è divisa in due tronconi ed è mancata la lucidità tattica che avrebbe consentito di non beccare i due contropiedi che hanno premiato in modo assai generoso la Gelbison.
Sul rendimento dei singoli ho già detto abbondantemente subito dopo la gara nel consueto pagellone e non è il caso di aggiungere altro. Adesso mi viene da dire solo che la Gelbison ha raccolto con mestiere e cinismo tutto quello che la Paganese graziosamente le ha lasciato.
Una sconfitta prima o poi doveva arrivare, è vero. Adesso bisogna solo guardare avanti e ricordarsi del programma di minima fissato all’inizio del campionato. La squadra quel programma lo sta rispettando in pieno. Per altri traguardi bisognerà attendere. Purtroppo è così.
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