Così è, anche se non vi pare
Il cuore, certo il cuore. Meno male che c’è il cuore, un muscolo che non sta mai fermo e che trasmette energie vitali. Con il cuore, che rappresenta la vita, si possono affrontare a viso aperto anche i valori tecnici che nel calcio non sono tutto; rappresentano molto nel calcio le qualità tecniche, ma – per fortuna – non rappresentano l’assoluto. Se dovessero prevalere sempre e solo le doti tecniche non ci sarebbe mai partita e vincerebbero sempre le squadre più forti, quelle che spendono e spandono; il calcio perderebbe tutto il suo fascino e le partite avrebbero già una sorte segnata in partenza. Ma non è così.
Il cuore è risultato l’invitato più prestigioso nel derby Paganese-Benevento. Tanto cuore, tanto ardore, tanto garibaldino entusiasmo da parte dei giovanotti in maglia azzurro-stellata, messo in mostra soprattutto nella seconda parte della gara, meritavano un premio; lasciamo perdere i valori tecnici, lasciamo stare le pecche che c’erano e ci sono, scordiamoci anche, per un attimo, di aver tanto penato e sofferto dal mese di settembre ad oggi. Ci sono valori, nel calcio, che ti trascinano, che ti fanno entusiasmare, che ti fanno trepidare, che ti fanno sentire vivo, che ti fanno amare quello che resta lo sport più bello del mondo; sono i sentimenti pregnanti della vita, con le sue passioni, con gli stati d’animo che solo chi frequenta le scalee di uno stadio può capire e condividere.
E’ bello il gioco del calcio! E sapete perché? Perché il campo ragiona – oltre che con i valori tecnici che sono indiscutibili e alla base dei successi – anche con il sudore della fronte, con l’agonismo, con la forza che hai nelle gambe. Quando perdi per zero a uno, quando la squadra avversaria sembra padrona del campo in virtù di una migliore organizzazione di gioco e per una classe superiore dei suoi componenti, basta un’invenzione come quella di Panariello con pallone scaraventato, a mo’ di liberazione, nell’angolino alto alla destra di Gori da buoni trenta metri, per rimettere tutto in gioco, per farti ammettere che in fondo una partita è pur sempre una partita e che niente deve intendersi come scontato.
A pareggio ottenuto, in un pomeriggio plumbeo, su un campo ridotto ad un vero e proprio acquitrino, viene finalmente fuori lo spirito guerriero di una banda di ragazzi che intuiscono di stare lì lì per compiere un’impresa. Vedo volti stanchi, sfigurati dal fango, maglie azzurre pregne di fanghiglia e mi ritornano in mente le gesta pioneristiche di atleti degli anni cinquanta/sessanta, di calciatori che giocavano con un fazzoletto legato alla fronte per colpire meglio di testa palloni che allora pesavano un accidente. Un copione di un calcio di altri tempi che i ragazzi di Belotti interpretano con orgoglio, passione e furore agonistico, come cavalieri senza macchia e senza paura.
Il pareggio finale ha il sapore di una vittoria. Dagli spalti applausi scroscianti dei pochi temerari; applausi che mancavano al “Marcello Torre” da tempo immemorabile; segno indiscutibile di partecipazione e di coinvolgimento in una specie di battaglia combattuta sul campo ma anche, idealmente, dalla scalee.
Le note tecniche in una partita del genere passano in sottordine. Con il materiale a disposizione, con una squadra orfana di Pepe, Franco e Giampà, elementi considerati titolari partiti in direzione di Messina e di Lamezia; con le assenze di William, Amelio e Iraci per infortuni vari, va in campo una squadra rabberciata al massimo.
Tanto rabberciata che presenta molti elementi fuori ruolo, adattati per la particolare circostanza. Dall’altra parte il Benevento; quadrato in tutti i reparti, nomi altisonanti in panchina e in tribuna. Una squadra che dovrebbe spaccare il mondo ma che da anni non riesce a spiccare il volo. Una gara sulla carta affatto proibitiva per i sanniti, contro una Paganese allo sbando; una squadra all’ultimo posto in classifica, con un allenatore fresco di nomina, con addii e partenze da vera e propria Stazione Termini.
Gara dall’esito scontato? Mai niente nel calcio è scontato, anche se – soprattutto da parte di uno sfiduciato ambiente locale – credo che nessuno in partenza avrebbe scommesso un euro su un risultato di parità.
Primo tempo come da copione: Benevento padrone del campo e difesa locale sempre in ambasce per mancanza di filtro a centrocampo. Storia vecchia che si ripete e porta il Benevento al vantaggio per mancata chiusura in diagonale di un difensore; niente da fare per Volturo. Il portierino è chiamato ad un super lavoro e lo svolge egregiamente, soprattutto quando para da campione un rasoterra micidiale di Mancosu. Finisce il primo tempo e Belotti nell’intervallo rimodula la squadra. Entrano Ceccarelli al posto di Toppan e Beretta al posto di Deli. Si dice che le partite si vincono anche dalla panchina; è vero parzialmente, a seconda dei risultati che si ottengono. Questa volta la mossa riesce. Potrebbe trattarsi di intuizione tattica, di buona sorte o anche solo di coincidenze: gli ingressi in campo di Ceccarelli e di Beretta danno una vitalità diversa alla squadra. Ceccarelli si presenta subito sulla fascia sinistra con una bella sgroppata e un cross millimetrico al centro, ma soprattutto il ragazzo non sta mai fermo e sembra avere l’argento vivo addosso. Beretta, abituato più a stazionare nelle aree di rigore avversarie, a centrocampo fa valere la sua stazza e riesce a dare un valido supporto a Velardi e Martinovic costantemente in inferiorità numerica per tutto il primo tempo.
Quando arriva l’eurogol di Panariello si intuisce che l’impresa è possibile, che quel manipoli di ardimentosi sanno stringere i denti, sanno soffrire e possono portare a termine positivamente una gara considerata impossibile.
Considerazione finale. Abbiamo ritrovato lo spirito guerriero di una squadra allo sbando; la Befana è stata generosa e ci ha portato un delizioso cioccolatino; ma non illudiamoci più di tanto. Servono rinforzi ed anche presto, anche se Belotti avrà intuito che qualche giovanotto di belle speranze c’è e va valorizzato.
Nino Ruggiero
è vero, nel calcio non vincono sempre i più forti dico per fortuna se no non ci sarebbe sfizio