Così è, anche se non vi pare
Finale da spiaggia inoltrata, come da copione. In campo: assenti, tanti; presenti, non pervenuti o quasi. Conto la bellezza di cinque assenze rispetto alle ultime gare: Marruocco, Fusco, Fernandez, Ciarcià, Soligo. Manca pure Scarpa, oramai da tempo relegato in panchina.
Il sipario del campionato è ancora alzato solo per questione di cartellone, ma gli attori sono già da tempo dietro le quinte. Hanno raggiunto il traguardo di minima e si sentono appagati; largo dunque alle cosiddette seconde linee, ai comprimari, che sono e restano tali per motivazioni e per scarsa caratura tecnica.
In tribuna ci guardiamo intorno: pochi volti, i soliti, quelli che non mancano mai. Tanti sediolini vuoti, molti più del solito. Rimbomba una battuta: “Meno male, mi hai conservato il posto: ho fatto tardi a causa della Formula uno. Però ha vinto la Ferrari!” e si comincia.
È squadra vera il Perugia. La difesa è la migliore del campionato assieme al Frosinone per gol incassati in trasferta e lo dimostra subito anche a Pagani. A centrocampo gli umbri recuperano un marpione del calibro di Italiano, che, per chi non lo sapesse, ha un curriculum di tutto rispetto fra serie A e serie B e che, a dispetto dell’età (trentasei anni suonati), ha la vitalità di un giovanotto. Con Italiano, Dettori (altro centrocampista che la Paganese ha sempre cercato ma non ha mai trovato) e con il giovane Moscati, i perugini prendono il sopravvento nella zona centrale del campo, là dove si costruiscono i successi. Al primo attacco il Perugia è già in vantaggio. Basta un calcio d’angolo per mettere in crisi l’apparato difensivo degli azzurro-stellati. Sulla battuta dalla bandierina è solo al centro dell’area il difensore Lebran che di testa fa secco Robertiello. I difensori della Paganese risultano non pervenuti. Sullo svantaggio inopinato, c’è una certa reazione più che altro di orgoglio. Nunzella e Caturano sono i più attivi e proprio quest’ultimo propizia una grande occasione da rete. Scende prepotentemente sulla fascia sinistra e cross al centro di precisione. Girardi non riesce ad impattare la sfera che termina sui piedi dell’avanzatissimo Calvarese. Il difensore è come preso in controtempo e, ad un passo dalla porta sguarnita, riesce solo a colpire goffamente il palo. Ma la Paganese è saldamente nelle grinfie del Perugia che mostra di avere classe, metodo, garretti saldi e morale alto, tutte qualità che fanno grande una squadra di calcio. Anche il secondo tempo dice poco in termini di gioco e di spettacolo. Il Perugia si accontenta di controllare la partita e quando se ne presenta l’opportunità, come in occasione del gol realizzato da Dettori dopo uno scambio con Fabinho, non se la fa scappare di mano. La Paganese, che nel frattempo ha perduto Franco per infortunio, è chiaramente anche in debito di ossigeno. L’ingresso di Neglia vivacizza di un tanto la manovra sulla trequarti campo, ma le poche occasioni da rete vengono sprecate, una dietro l’altra, da Fava che tira addosso al portiere in uscita e da Girardi che, nei minuti di recupero, riesce solo a colpire un palo.
Finisce la partita, finisce il campionato e non si può dire che gli animi della tifoseria siano particolarmente eccitati per una salvezza che rappresenta solo l’obiettivo di minima fissato dalla società.
Credo sia arrivata l’ora di tracciare un bilancio, come mi chiede più di qualche buon amico che segue le mie note da lontano. A bocce ferme, a conclusione dei lavori, bisogna per prima cosa ringraziare ancora una volta Raffaele Trapani e i suoi più stretti collaboratori; hanno mantenuto la categoria e la manterranno anche il prossimo anno, visto che non ci saranno retrocessioni. Forse – e senza forse – qualcosa in più si poteva ottenere da un campionato che è stato disputato all’insegna di una irritante altalena di risultati; un giorno sugli altari, un altro nella polvere.
Qualcuno ha creduto di individuare in Grassadonia il peggiore dei mali di questa Paganese; io ci andrei cauto, con tutte le riserve possibili che ho sempre esternato sul modulo adottato dalla squadra, specie per quello che riguarda l’organizzazione del gioco di centrocampo. Gli allenatori danno direttive, seguono i calciatori, studiano gli avversari, hanno il polso della squadra in ogni momento proprio perché li hanno a portata di mano, ma non sono tutto e soprattutto non hanno bacchette magiche. Tutti quelli che allenano in una certa categoria hanno conseguito un patentino. La legge del calcio è impietosa: è bravo chi vince, non chi – pur lavorando sodo – non vince. L’allenatore viene giudicato sulla scorta dei risultati ottenuti. E i risultati, in massima parte, li determinano i valori dei calciatori perché l’allenatore – a mio parere – conta fino ad un certo punto. Proprio perché rappresentano valori aleatori, non esiste l’allenatore bravo e quello meno bravo. Prendete il caso del Palermo e del suo presidente Zamparini, noto mangia-allenatori. Non so più quante panchine abbia cambiato Zamparini negli ultimi anni, in una specie di gara particolare con Cellino, presidente del Cagliari. Ebbene, cambia oggi, cambia domani, Zamparini si è ritrovato in serie B. Colpa di chi? Dei tanti allenatori occorsi al capezzale del Palermo? Tutti scarsi, tutti scadenti? Non credo.
Grassadonia è un giovane allenatore che sta facendo esperienze e che dalla parentesi paganese – soprattutto se mostrerà di essere più sereno, meno intransigente, con meno vis polemica – trarrà buoni insegnamenti per il futuro. Oggi per lui è il momento dei saluti, del distacco e di qualche rimpianto.
Meno male che è finita: che strazio, che tortura, che supplizio quest’oggi per i pochi irriducibili sugli spalti, in numero sempre inferiore ma sempre più incrollabili per l’amore portato alla casacca azzurro-stellata: fede ferrea, caldo o freddo che sia, pioggia o non pioggia.
Questo è il calcio che ci piace. Questo è il calcio che vorremmo continuare a seguire, oggi e soprattutto domani.
Nino Ruggiero
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