Una volta il derby rappresentava il sale, ingrediente necessario per condire una partita di calcio.
E’ vero, il calcio ha sempre affascinato le masse, e li affascina ancora. Ma volete mettere un derby, un incontro stracittadino o con squadre di città viciniori, con una partita qualunque, anche se da disputare contro una squadra importante?
Il derby ha rappresentato sempre uno scontro di culture, di pensieri, di comportamenti, di identità, fra paesi e città – sotto l’egida di un campanile – che hanno sempre avuto mille motivi di rivalità, e non solo calcistica. Erano incontri infuocati, li ricordo: soprattutto ricordo con una punta di nostalgia i tanti derby disputati tra Nocerina e Paganese.
Andiamo nella notte dei tempi; negli anni cinquanta/sessanta. A Nocera si giocava al vecchio “Piazza d’Armi”, terreno rigorosamente battuto con il lapillo del Vesuvio; a Pagani si giocava al vecchio “ Del Forno”, che non scherzava in fatto di lapillo ma che una mano amorevole, quella di Raffaele Francavilla, cercava di adattare ai tempi con l’estemporanea semina di una selvatica erbetta.
A quei tempi – nei campionati di promozione e di quarta serie – non c’erano ultras e non c’era nemmeno il tifo organizzato. Era tutto così spontaneo, così genuino. I paganesi andavano a Nocera sparpagliati o in gruppetti di amici; i nocerini andavano a Pagani, in ordine sparso, forse in numero inferiore, confusi fra la grande folla. C’era rivalità sportiva, anche forte, tanto che non mancava mai anche qualche goliardica scazzottatura, un po’ come avveniva il lunedì d’Albis quando i paganesi erano soliti andare a fare “Pasquetta” dalle parti di Montalbino. Ma tutto rientrava nel novero di una piatta “normalità”, tanto che mai nella lunga storia calcistica delle due città – in quell’epoca – furono adottati provvedimenti ristrettivi nei confronti delle rispettive tifoserie.
Qualche problema cominciò a sorgere a cavallo degli anni settanta/ottanta quando la Paganese arrivò in serie C e dovette giocoforza – dopo anni di esilio dalle grandi scene – incontrarsi con i rivali di sempre.
Con tanta buona volontà, con la collaborazione fattiva delle forze dell’ordine, e dei capi storici delle due tifoserie, si riuscì comunque a far convivere le due diverse anime e le gare – anche se in più di una occasione si rasentò lo scontro – furono regolarmente disputate.
Cambiano i tempi e cambiano anche gli umori delle tifoserie. Quella che una volta era considerata solo rivalità sportiva adesso preoccupa le autorità preposte all’ordine pubblico. Segnali inquietanti provenienti dalle frange più oltranziste dei due centri vengono avvertiti ed esaminati.
E allora si gioca, ma si gioca a porte chiuse. Una sconfitta per il calcio, per Nocera, per Pagani, ma anche per tutti coloro – molti, tantissimi – che hanno creduto per un attimo di poter rinverdire quelli che erano gli elementi base di un derby quasi stracittadino: lo spirito campanilistico di voler prevalere, di volersi imporre come il più forte, di far valere la propria identità, la propria cultura, il proprio amore per i colori sociali rappresentati.
Il derby così non è più derby: è una ciofeca, come avrebbe detto il grande Eduardo.
Davvero brutto un derby senza spettatori. Se non sbaglio è la prima volta nella storia di Nocerina-Paganese. Che tristezza!
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