Così è (anche se non vi pare)
Adesso la voglia di scrivere di calcio è poca, pochissima, quasi zero. Gli impegni però sono impegni e qualcosa lo devo dire, soprattutto per rispetto di quei miei pochi ma pazienti ed affezionati amici.
A conferma di un’annata calcistica da considerare di sicuro come “non buona”, al pari di vendemmie andate a male, anche domenica tutto è andato secondo le pessimistiche previsioni della vigilia.
L’addio a quella che continuo a chiamare C1 è stato, in un certo senso, prima traumatico, e poi quasi scontato. C’è stato un momento, quasi in contemporanea con il gol realizzato da Radi, in cui l’adrenalina instillata dalla notizia del momentaneo vantaggio del Ravenna a Monza – risultata subito dopo infondata – ha fatto palpitare, vibrare e gioire mille e più cuori, quelli che rappresentano il vero nucleo inossidabile del tifo. Era soltanto un’ingenua bufala, scaturita probabilmente solo dal desiderio di protagonismo di qualche inguaribile samurai del tifo, di quelli che non vogliono arrendersi alla realtà e vorrebbero combattere, combattere sempre e comunque.
Già, combattere; tutto si può rimproverare alla squadra in termini di rendimento. Si potrà dire che non è stata all’altezza della situazione, che era carente dal punto di vista qualitativo, che era raffazzonata in alcuni ruoli chiave, che ha mancato i principali appuntamenti del campionato, che non è stata capace di chiudere la partita aperta con il Monza quando aveva il coltello dalla parte del manico. Tanto altro ancora, in termini tecnici, si può ancora dire. Ma non si potrà mai dire che qualcuno dei suoi componenti abbia lasciato il campo senza sudare la maglia.
L’impegno e l’agonismo non sono mai mancati nel corso del campionato e non sono mancati nemmeno domenica quando Capuano ha dovuto fare a meno di Vicedomini sulla linea mediana e di Tortori in attacco.
Ma l’impegno, la dedizione, l’agonismo nel calcio – da soli – non bastano. Sono componenti essenziali, certo, ma non bastano. Nel calcio ci vogliono anche qualità e talento che devono convivere ed integrarsi – per arrivare a risultati concreti – con impegno e sano agonismo, al limite della cattiveria.
Purtroppo bisogna convenire che i risultati ottenuti sono figli dell’improvvisazione. E’ vero che la società, Raffaele Trapani in testa, ha fatto di tutto per evitare la retrocessione diretta. E’ vero che a gennaio la squadra è stata rivoltata come un calzino, un po’ come facevano i mecenati di un tempo. Ma, alla luce di quelli che sono stati i risultati, bisogna dire che alcune carenze di ordine tecnico sono comunque emerse a più riprese, soprattutto quando c’era necessità, dopo aver sistemato adeguatamente l’apparato difensivo, di puntare anche su qualche vittoria.
Dalla cintola in su la squadra ha sempre stentato a manovrare. Le due fasce laterali, vere e proprie corsie di lancio per squadre che vogliono arrivare al gol, sono risultate quasi sempre appannaggio degli avversari di turno. Solo in poche occasioni abbiamo potuto ammirare alcuni e sporadici generosi slanci offensivi. Fra questi, mi piace ricordare lo spirito di abnegazione di Imparato che, specie all’inizio, era sembrato straripante e portatore di una insperata ventata di freschezza atletica. Poi anche Imparato è tornato nei ranghi. Ha giocato buone partite ma non è stato mai più quello delle prime gare; non ha mai più avuto quegli slanci offensivi che lo avevano esaltato e che soprattutto avevano fatto galoppare la fervida fantasia dei tifosi.
Adesso che i giochi sono fatti, dico una cosa che mi sono tenuto dentro per evitare controproducenti polemiche, ma che ho sempre pensato. Credo, ad esempio, che la preparazione atletica, da definirsi goliardica, degli svincolati giunti a gennaio, abbia avuto un peso determinante nelle prestazioni complessive.
E’ notorio che ogni atleta reagisce in modo diverso alle sollecitazioni atletiche che gli vengono richieste. C’è chi ha bisogno di tempo per raggiungere una forma accettabile, c’è chi invece ha insperate energie che sprigiona tutte in una volta, pur non essendo all’apice della condizione fisica. Non altrimenti possono essere valutate le diverse prestazioni iniziali di Imparato, di Gatti, di Fusco e di Ginestra. Il primo, dirompente ed assatanato come chi non gioca una partita da una vita e vuole spaccare il mondo tutto in una volta; il secondo, apparentemente freddo, lineare, geometrico, ancorché in debito di ossigeno, capace di distribuire intelligentemente la palla ma anche di essere presente in tutte le zone del campo, tanto da essere accolto come l’uomo della Provvidenza in un centrocampo di grande frenesia ma qualitativamente povero di idee. Il terzo, Fusco, un tantino a disagio all’inizio; poi preciso e puntuale punto di riferimento per l’intero reparto in un crescendo rossiniano, baluardo insormontabile della difesa. Il quarto, Ginestra, infine, inizialmente – a causa di una lunga inattività – non esente da colpe in un paio di gol incassati, ma alla fine punto di forza indiscutibile dell’intera difesa.
Ma nemmeno si può dire che i guai della Paganese siano solo conseguenza di una carente ed iniziale preparazione atletica dei neo arrivati a gennaio, che – per quanto ne so – è stata recuperata grazie all’efficiente staff tecnico di cui la squadra disponeva, ma che – comunque – non ha potuto assicurare il top ad elementi privi della preparazione precampionato.
Tanto tempo fa, i cultori e i dicitori del calcio, quando le squadre esprimevano un calcio piatto, senza fantasia, senza invenzioni geniali, solevano dire: “senza ali non si vola”. Le ali erano i giocatori che adesso sono definiti di fascia; erano quelli che mettevano il pepe alle partite perché riuscivano con la loro velocità ed abilità ad andare a fondo campo per crossare al centro per gli attaccanti. I cross migliori erano quelli fatti da fondo campo con palla rimessa all’indietro per favorire l’impatto frontale e di anticipo degli attaccanti su difensori presi in contropiede. Ma chi li vede più le ali di una volta?
Quest’anno uno c’era, all’inizio: Triarico. Era guizzante, geniale, veloce; attaccava gli spazi, superava l’uomo che era un piacere. Il suo incedere elegante e raffinato entusiasmava le folle, quasi le arringasse in virtù di una velocità di esecuzione non comune. Rappresentava l’ala di una volta, uno di quelli che facevano galoppare la fantasia popolare e terrorizzavano le difese, solitamente più brave ad intrupparsi al centro che a contrastare sulle fasce laterali la velocità e la pericolosità di un attaccante vecchia maniera.
Poi sono venute fuori vecchia magagne, pare relative ad un infortunio mal curato negli anni precedenti. E’ certo solo che quel Triarico di inizio torneo non lo abbiamo più mai visto, anche quando è sembrato parzialmente recuperato, ma utilizzato in un ruolo che non è – e non sarà mai – suo.
La chiosa finale è per Raffaele Trapani, il presidente. Pagani deve essere sempre e comunque grata a quest’uomo capace di regalare alla città non solo sogni ed illusioni ma anche una C2 ed una C1. Certo, di sicuro Trapani qualcosa lo ha sbagliato; sarà il primo ad ammetterlo. Ma nessuno mai gli potrà rimproverare dedizione, amore, coraggio ed anche incoscienza. Criticare è facile, operare è difficile; ricordiamocelo sempre, anche nei momenti – come quello attuale – in cui ci sembra tutto sbagliato, tutto da rifare.
Tutti vorremmo sempre una squadra più forte, vincente; ma nella vita non è sempre facile coniugare i successi con una sana amministrazione delle risorse. Se vogliamo fare un discorso serio, fuori dalle righe, a Trapani dobbiamo riconoscere il fatto di non aver mai fatto il passo più lungo della gamba. Segno di grande maturità ed equilibrio.
Dobbiamo solo sperare che non molli. Così come viene spontaneo e naturale pensare nei momenti di crisi profonda immediatamente successivi ad una sconfitta, che non è solo quella numerica, in una partita di calcio.
Alzati e cammina, vecchia cara Paganese, con l’amorevole aiuto proprio di Raffaele Trapani; che non mollerà, siatene certi, se sentirà vicino l’afflato della comunità e di chi tiene al buon nome di Pagani sportiva. “Solo chi cade può risorgere” – suggeriva Humphrey Bogart, nell’omonimo film degli anni ’40.
Siamo caduti. Dobbiamo solo risorgere.
Nino Ruggiero
(Rubrica “Così è, anche se non vi pare”, Paganese.it 18 maggio 2011)
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